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  • 4 min lettura

    Sake caldo o freddo?

    Alzi la mano chi non si è mai visto servire un bicchierino di sake caldo e apparentemente molto alcolico a fine pasto in un ristorante cinese, probabilmente sentendosi anche dire che era un’usanza tradizionale.

    Per tanti anni, prima del boom della cucina giapponese nel nostro paese, quando ancora solo i ristoranti cinesi erano un diversivo alla cucina italiana, il sake era ancora sconosciuto e nessuno o pochi mettevano in dubbio che quello fosse il modo corretto di servire questa bevanda o che la sua provenienza non fosse la Cina ma il Giappone.

    E così, investiti dal vapore alcolico del sake riscaldato, molti di noi si sono convinti che si tratti di un distillato o comunque di una bevanda da fine pasto molto alcolica.

    Tantissime volte, durante qualche evento come ad esempio Vinitaly, ci siamo sentiti infatti rifiutare un assaggio di questo fermentato perché troppo forte e graduato.

    Anticamente riscaldare il sake era una necessità

    È pur vero che anticamente riscaldare il sake, e quindi in un certo senso pastorizzarlo, era essenziale, perché al suo interno vi erano lactobacilli vivi che potevano rovinare velocemente la preziosa bevanda e inacidirla, anche se alcolica. Nel Tamon-in-Nikki, diario del XVI secolo dell'abate Eishun, pubblicato nel 1569, è stata trovata una prima descrizione della pastorizzazione, praticamente 300 anni prima che Pasteur la scoprisse nel 1865. 

    Oggi, grazie all’avvento della pastorizzazione vera e propria, tutti i sake, a parte quelli crudi (nama) vengono sottoposti a un processo di pastorizzazione prima o dopo la maturazione o anche in entrambi i casi:

    - NAMA SAKE: non pastorizzato

    - NAMA CHOZO: pastorizzato una volta (dopo la maturazione)

    - NAMA ZUME: pastorizzato una volta (prima della maturazione)

    - NIHONSHU: pastorizzato due volte (prima e dopo la maturazione)

     

    Come si beve il sake?

    Oggi il sake può essere quindi consumato a qualsiasi temperatura, chiaramente scegliendola in base alla sua tipologia e al tipo di abbinamento che desideriamo fare con il cibo.

    Il sake freddo è un modo nuovo e moderno di bere sake, nato con l’arrivo delle macchine di lavorazione del riso di ultima generazione degli anni ‘60, che permettono una levigatura del riso a livelli anche molto alti e di conseguenza l’ottenimento di sake più delicati e aromatici (ginjoshu) o molto aromatici (daiginjoshu), che danno il meglio se consumati freschi.

    Il sake servito intorno ai 15 gradi è molto bilanciato e si presenta nella sua completezza (suzuhie-kan è la temperatura consigliata per gli assaggi del ginjo), mentre intorno ai 10 gradi la fragranza risulta più sottile.

    A 5 gradi, invece, la fragranza è molto leggera e alcune caratteristiche del sapore non vengono messe in risalto.

    Temperarura sake freddo


    Nel caso desideriamo provare a riscaldare il nostro sake, sempre che rientri in una tipologia che lo permette, possiamo tenere presente che tra 30 e 35 gradi la fragranza aumenta e il sake acquisisce una maggiore intensità, mentre tra 40 e 55 gradi, a causa dell’alta temperatura, la percezione dell’alcol e la secchezza aumentano. Per questo, molte persone davanti a un sake caldo pensano che la gradazione alcolica di quest’ultimo sia di gran lunga superiore a quella reale.

    Temperatura sake


    Quando è preferibile bere sake caldo? Ad esempio, quando fuori fa freddo e abbiamo voglia di riscaldarci, oppure quando dobbiamo abbinarlo a dei cibi importanti e grassi, dato che riduce l’oleosità e il grasso percepiti in bocca, o a cibi a loro volta caldi come zuppe e ramen.
    Infine, nei casi in cui, dato che il gusto del sake varia molto in base alla temperatura a cui viene servito, un determinato sake semplicemente ci piace di più caldo.

    Per sapere se un sake può essere riscaldato o meno, potete tenere presenti queste indicazioni di base:

    sake junmai, honjozo e futsushu sono perfetti sia freddi (5-10°) che caldi (45-50°) e forse un po’ meno interessanti ma comunque buoni a temperatura ambiente.

    I sake kimoto andranno benissimo a temperatura ambiente o riscaldati fino a 40-45°, mentre eviteremo assolutamente di riscaldare i sake crudi (nama) e i sake torbidi (nigorizake), che vanno bevuti freschi o freddi.

    Per quanto riguarda, invece, i sake ginjo o daiginjo, meglio gustarli freschi (10°) per godere a pieno delle loro note aromatiche che, se riscaldati, andrebbero perse.

    In che bicchieri si beve il sake?

    Tokkuri

    Anticamente il sake si beveva nel masu (枡), una scatola cubica in legno di cedro giapponese originariamente utilizzata per misurare il riso durante il periodo feudale. Un masu pieno di riso, infatti, doveva essere sufficiente a sfamare una persona per un giorno intero.

    Oggi, invece, avendo a disposizione svariate tipologie di sake e potendo scegliere a che temperatura consumarlo, abbiamo a disposizione più opzioni.

    Il sake caldo, che si può ottenere immergendo il tokkuri (piccola caraffa/bottiglia) pieno di sake in acqua calda (bagnomaria a fiamma spenta), viene solitamente servito nelle o-choko, piccole tazzine tradizionali giapponesi, appositamente di dimensioni ridotte così che la necessità di versarsi a vicenda da bere favorisca la convivialità e l’interazione.

    Il sake freddo, invece, dà il meglio di sé quando viene servito in un calice da vino che, grazie alla sua forma, permette di godere a pieno anche dell’aroma che sprigiona, cosa che non succederebbe invece se utilizzassimo un o-choko.

    Sake e bicchieri