Il lievito utilizzato resta un segreto del kuramoto Konishi Akiko e dei suoi collaboratori, mentre il riso è il Nihon Bare, usato sia per il Kakemai che per il Kojimai.
Per tanti anni, prima del boom della cucina giapponese nel nostro paese, quando ancora solo i ristoranti cinesi erano un diversivo alla cucina italiana, il sake era ancora sconosciuto e nessuno o pochi mettevano in dubbio che quello fosse il modo corretto di servirlo.
Il primo fattore importante nella classificazione dei sake è il livello di sbramatura, ossia di levigatura, del chicco, o meglio la percentuale di chicco rimasta dopo questo processo.
Questo prodotto fa parte della “Yamagata Selection” dal 2009 (certificato n. 21-20010), un’iniziativa della prefettura di Yamagata che ha istituito un comitato indipendente per esaminare in modo molto selettivo i migliori sake della regione.
Makiri significa “tagliare il diavolo” ed è il nome con cui i pescatori chiamavano i coltelli che usavano per tagliare le reti da pesca. Scopri tutti i segreti dell'Hatsumago Dry!
Il suo obiettivo è quello di accrescere la quantità dei lieviti, quindi di creare una buona base per il processo di fermentazione vero e proprio che avverrà nel moromi.
Le origini del sake non sono del tutto certe, ma pare che già nel periodo Yayoi (300 a.C. – 300 d.C.), quando la coltivazione del riso giunse in Giappone dalla Cina, i giapponesi avessero iniziato a produrre una bevanda alcolica utilizzando questo cereale.
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